Comunicazione

Alla ricerca della capacità di ascoltare

E se non fosse solo un problema mediatico?

Foto di Mingyue da Pexels

L’alternarsi di lockdown e zone più o meno colorate, la continua altalena di emozioni e sentimenti, il perpetuo susseguirsi di cifre, numeri e scenari più o meno apocalittici ha amplificato l’atavico problema che da tempo affligge il panorama postmoderno: non siamo più capaci di ascoltare. È vero, si dice da più parti, che di questa pandemia non ci abbiamo capito granché e, come sempre accade in questi casi – cioè nei casi in cui nessuno ha l’esperienza o la preparazione necessaria per offrire una narrazione quantomeno decente – lo storytelling cede il passo alle chiacchiere da bar. Solo che i bar, da qualche anno a questa parte, hanno ormai ceduto il passo alle bacheche dei social e, parafrasando Umberto Eco, le chiacchiere che prima restavano nel quartiere, ora arrivano anche dall’altra parte del mondo.
Quanto sta accadendo attorno a noi, nell’ultimo anno, ci ha sorpresi, spiazzati, provocati a tratti ma perlopiù ci ha lasciati disillusi. Eppure, se non avessimo perso un po’ di lucidità, non ci ritroveremmo a sproloquiare disperatamente, puntando il dito a destra o a manca, a seconda delle giornate, di dove tira il vento e di dove spinge l’esperto di turno.
Stiamo diventando tutti sempre più divulgatori e sempre meno ascoltatori. Ed è un dato di fatto. E non ci sarebbe niente di male se la nostra capacità divulgativa avesse delle basi solide. Cosa che, purtroppo, non sempre accade. Anzi. Un esempio: la piattaforma Twitch, nata come luogo di incontro per videogiocatori, si è trasformata – specie durante il lockdown – nell’ennesimo luogo dove chiunque, armato di una videocamera e di un microfono (o anche solo di uno smartphone), può cercare di raccontare la sua storia, la sua narrazione, il suo punto di vista sulle cose del mondo. Secondo alcuni dati, sembra che a dicembre scorso nel mondo ci fossero almeno 6 milioni di streamer, ovvero di persone che veicolano contenuti su Twitch, e quasi 30 milioni di visitatori giornalieri. Solo in Italia, sempre a dicembre, ogni mese sono ben 4 milioni gli utenti che si affacciano sulla piattaforma acquisita da Amazon nel 2014. Sembra contraddittorio con il titolo di questa riflessione. Qualcuno potrebbe dire: se ci sono tanti che veicolano contenuti, allora ce ne saranno tanti che li ascolteranno. Peccato che la ‘notorietà’, la ‘popolarità’, in una proposta così articolata, siano a beneficio di pochi. Una sera, ho cliccato su un link che mi ha inviato un amico che, insieme ad un altro giovane appassionato di musica, aveva creato un evento con Twitch per parlare di un determinato argomento musicale. Ebbene, oltre a me, erano connesse altre tre persone. Avete capito bene: quattro persone in tutto ad ascoltarne due. Un rapporto che non sarebbe permesso, perché non conveniente, in nessun mezzo di comunicazione ‘classico’.
Non voglio passare per retrogrado, né negare che ci sia senz’altro del buono nella possibilità per tutti di proporre contenuti, ma mi chiedo: ci ascoltiamo davvero? O la sensazione prevalente, nell’utilizzo di questi mezzi, specie nelle nuove generazioni, è quella del desiderare essenzialmente i celeberrimi 15 minuti di notorietà profetizzati da Andy Warhol in tempi tutt’altro che sospetti?

Come sacerdote missionario e come comunicatore, ultimamente mi sono interrogato più volte sulla mia capacità di ascoltare. Da cristiano, l’ascolto dovrebbe essere il primo movimento del mio vivere. Il Dio di Gesù Cristo, infatti, si comunica con le parole, anzi, con la Parola. Non solo: attraverso quanto accade attorno a noi, Dio ha qualcosa da dirci, da comunicarci e noi dovremmo avere il compito di accogliere questo messaggio, prima di trasmetterlo al mondo.

Ascoltare meglio, e di più, la Parola di Dio e le parole degli uomini che hanno qualcosa da dire, una narrazione vera da condividere, uno storytelling scevro da compromessi e non inquinato dagli interessi, da proporre su Twitch o altrove, nell’oceano di informazioni e di piattaforme in cui siamo chiamati a destreggiarci, a navigare ogni giorno. Ecco una strada, anzi una rotta interessante, ecco una proposta valida per il tempo che ci aspetta. Per reimparare ad essere umani. Capaci di ascoltare e di ascoltarci.

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